Origine, Stile e Valore

Tre dimensioni per il Soave

Se n’è parlato in un convegno a Monteforte d’Alpone (VR) il 24 maggio 2013
Da sinistra: Antonio Paolini, Attilio Scienza, Aldo Lorenzoni e Nicola Frasson.

Da sinistra: Antonio Paolini, Attilio Scienza, Aldo Lorenzoni e Nicola Frasson. Il Soave in 3D è il nome della manifestazione recentemente organizzata dal Consorzio Tutela Vino Soave e svoltasi nelle giornate del 22, 23 e 24 maggio 2013, con a programma visite a cantine, degustazioni e un convegno per giornalisti e operatori. Le 3 D citate sono nello specifico Origine, Stile e Valore. Si tratta delle tre dimensioni che, nell’intento dei produttori di Soave, dovranno d’ora in avanti esprimere la territorialità di questo vino. Perché è proprio questo, in fondo, il punto nodale di tutti i discorsi e le riflessioni emersi nel corso de Il Soave in 3 D: la necessità, potremmo quasi dire l’urgenza, di esprimere in un prodotto enologico il rapporto tra vitigno, uomo e ambiente. E di farlo in modo sincero, ma allo stesso tempo riuscendo a suscitare emozioni precise, memorizzabili e riproducibili nei consumatori che a quello specifico vino si accostano. Il fenomeno Soave La zona produttiva del Soave gode di ottima salute e continua, nonostante l’attuale congiuntura economica, ad assicurare benessere ai suoi attori, siano essi produttori di uve o di vino, imbottigliatori o, ancora, tecnici e professionisti che ruotano intorno all’universo Soave. Ad affermarlo, dati alla mano, è stato Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio Tutela Vino Soave, il quale ha anche sottolineato come le aziende produttrici siano circa 3.100, con dimensioni medie piuttosto limitate. Dunque il sistema Soave funziona, perché le aziende, nonostante le loro dimensioni contenute, reggono. Dal punto di vista dell’organizzazione produttiva, i trend degli ultimi anni rivelano un calo dei quantitativi di uve conferite a privati, mentre aumentano leggermente i conferimenti alle cantine sociali e rimane sostanzialmente stabile il numero delle aziende che trasformano in proprio. Il 90% della superficie vitata è impiantata a Garganega, vitigno principe del Soave, e l’età media dei vigneti è piuttosto elevata, anche a causa della forte parcellizzazione. Ogni anno vengono prodotti circa 50 milioni di bottiglie di Soave, commercializzate in Italia e nel mondo, con la Germania a fare la parte del leone tra i mercati di destinazione. Il chiarimento semantico Le  3 D di cui sopra sono per il Soave talmente importanti da aver condotto, grazie al contributo di tecnici e degustatori esperti, all’elaborazione di un’innovativa scheda di valutazione basata proprio su Origine, Stile e Valore. La scheda, messa a punto con lo scopo di esprimere la valutazione di un vino Soave attraverso punteggi che derivino dall’incrocio di queste tre dimensioni, mira anche all’ambizioso obiettivo di stabilire se il vino degustato sia un vino-verità. Ma se questo è l’obiettivo, occorre un chiarimento semantico: cosa dobbiamo intendere per verità quando ci riferiamo a un vino? Da questa constatazione ha preso il via l’intervento di Attilio Scienza, ordinario di Viticoltura presso l’Università degli Studi di Milano, all’interno del convegno Il Soave: origine, stile e valore, tenutosi nel palazzo vescovile di Monteforte d’Alpone il 24 maggio 2013. Se nel mondo greco antico verità significava rendere visibile ciò che non lo è, nel mondo romano la verità si identificava soprattutto con la possibilità di affermare i propri principi. Entrambe le accezioni del termine si addicono al vino-verità. Perché vino-verità è quello che sa esprimere, grazie all’opera del produttore, tutto il patrimonio non visibile che ne ha reso possibile la realizzazione, primo fra tutti il territorio d’origine. E vino-verità è anche quello in grado di difendere e affermare la propria identità, quando questa sia forte e riconoscibile. “Quando un vino commercialmente funziona – ha affermato Scienza – si cerca di imitarlo, ma se lo si produce in zone diverse si esprimono semplicemente verità "altre" da quella che caratterizza il vino imitato”. La tecnica nella filiera vitivinicola oggi è spesso portata all’estremo, tendendo a coprire le verità e conseguentemente a ridurre il livello di diversità tra i vini. In questo senso la produzione di vini biodinamici, piuttosto che con l’uso di anfore, rappresenta un modo per far emergere vini-verità. Ma occorre evitare prese di posizione estreme: “Naturalità non significa abbandonare l’uva e il vino a loro stessi, perché così facendo siamo destinati a ottenere aceto. La vite addomesticata non è in grado di vivere e produrre uva di qualità da sola, va aiutata dall’uomo, anche se tramite l’uso di tutte le forze naturali a disposizione, quindi con tecniche meno invasive e aggressive possibile”. “Non esiste lo stile libero” È quanto ha affermato nel suo intervento il giornalista Antonio Paolini, secondo il quale produrre un vino che rechi in etichetta una denominazione d’origine significa, senza possibilità di appello, rispettare lo stile di quella denominazione. In questo senso l’etichetta è il primo step della comunicazione dello stile di un vino. E quanto più l’etichettatura scende nello specifico, facendo riferimento a toponimi o cru, tanto maggiore è la necessità di offrire prodotti aderenti a uno stile ben specifico. “Spesso – ha dichiarato Paolini - il produttore è portato a pensare il contrario, e cioè a ritenere che la citazione della vigna in etichetta gli dia maggiore libertà in termini di stile, ma non è così. Il contrario vale solo se il produttore decide di diventare egli stesso “stilista” e quindi di imporre uno stile legato al proprio marchio. Ma in tal caso egli deve abbandonare la denominazione d’origine”. Quando è vero equilibrio? Rispondenza alle caratteristiche del vitigno e a quelle del territorio di provenienza, ma anche all’andamento climatico della singola annata: così si potrebbe riassumere il concetto di equilibrio di un vino secondo quanto espresso da Nicola Frasson, responsabile per il Veneto della Guida Vini d’Italia di Slow Food. “Potrebbe sembrare una banalità – ha affermato Frasson – ma non la è, se pensiamo che ci sono stati lunghi periodi nella storia della nostra enologia in cui si scimmiottavano pochi stili produttivi che dovevano andar bene praticamente per tutti i vini”. Al contrario, è indispensabile leggere un vino con l’obiettivo di capire se esso si comporti come ci aspettiamo che debba fare. L’annata in cui sono state prodotte le uve è stata fredda? Non possiamo aspettarci gradazioni alcoliche elevate, e magari neppure sentori fruttati, ma semmai più facilmente sentori floreali o magari erbacei. “L’utilizzo della nuova scheda di degustazione messa a punto per il Soave e declinata in chiave 3D – ha concluso Frasson – dà modo di esprimere un giudizio più intimo del vino, nel rispetto del contesto produttivo”. Rifuggire il pensiero unico L’eccesso di tecnica non è l’unica situazione dalla quale dobbiamo prendere le distanze. Occorre anche, come sottolineato da Attilio Scienza in chiusura di convegno, evitare di rifugiarsi nel pensiero unico, nei giudizi insindacabili formulati da esperti e guide enologiche. “Il ruolo dei comunicatori è oggi più che mai fondamentale, ma deve essere quello di mettere nelle mani del consumatore il maggior numero possibile di informazioni che gli permettano di riconoscere in modo sufficientemente semplice la territorialità nel prodotto che sta degustando e conseguentemente di formulare un giudizio autonomo”.   Riportare in primo piano gli strumenti dell’innovazione Questo lo scopo del Convegno Espositivo Viticoltura Enologia, organizzato da Senaf in collaborazione Tecniche Nuove e VQ vite, vino qualità per il prossimo 12 dicembre 2013 a Padova e presentato dal professor Attilio Scienza – che del Convegno Espositivo sarà uno dei relatori – a conclusione dell’evento di Monteforte d’Alpone. Nel video qui sotto un passo della sua presentazione. 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Tre dimensioni per il Soave - Ultima modifica: 2013-05-27T16:37:28+02:00 da Redazione

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