Ricerca e selezione di lieviti indigeni selezionati tra i filari

Bioenologia 2.0 “addomestica” i lieviti e racconta alla platea dell’Enoforum i risultati della sua ricerca

In collaborazione con le Università di Verona e della Basilicata

Bioenologia 2.0 guarda al futuro e nel farlo continua a concentrare la sua attenzione sui lieviti e lo sguardo sui vigneti. Da un paio d’anni sta lavorando alla ricerca e selezione di lieviti indigeni selezionati tra i filari di mezza Italia. Il progetto, condiviso con numerose aziende vitivinicole e in collaborazione con le Università di Verona e della Basilicata, ha lo scopo di rintracciare ceppi con specifiche attività metaboliche ed enzimatiche in grado di valorizzare la qualità e la complessità sensoriale dei vini. Un tema che ha destato profondo interesse all’interno del recente Enoforum. Sandra Torriani, del Dipartimento di Biotecnologie dell’Ateneo scaligero, legato a Bioenologia 2.0 da un Joint Project, ha presentato i risultati del progetto Winitaly. Obiettivo: selezionare e sviluppare dei ceppi di lieviti non Saccharomyces con buone proprietà enologiche per impiegarli nella produzione di vini di qualità. Sono stati presi in esame 116 campioni d’uva ammostata. Su Starmerella bacillaris e Lachancea thermotolerans è stata osservata una grande biodiversità genotipica e fenotipica, soprattutto nelle uve passite. Proprio tale biodiversità rappresenta una risorsa da esplorare al fine di riprodurre le varianti domesticate più idonee a ottenere vini con distinzione stilistica e territoriale. Angela Capece, dell’Università della Basilicata, si è soffermata sull’uso e sull’importanza dei lieviti starter, con particolare riferimento alle performance di quelli freschi. Angiolella Lombardi, biologa presso Bioenologia 2.0, ha invece illustrato le tappe operative del progetto di selezione, dal vigneto al laboratorio. È tra i filari infatti che tutto ha inizio, con la fase di campionamento, prestando attenzione che l’area sia lontana dalle cantine e dalle zone di passaggio e le uve sane. In laboratorio si avvia l’ammostamento, in modo da selezionare i Saccharomyces, l’isolamento e l’ identificazione dei ceppi, grazie a sofisticate metodologie di tipo molecolare. “La fase operativa che più interessa l’enologo – ha spiegato Lombardi – è quella della caratterizzazione tecnologica che porta all’individuazione del lievito con le caratteristiche migliori, che viene testato e infine valutato con l’azienda”. L’ultima fase è quella della riproduzione del lievito in forma fresca. Il Progetto Autoctoni, partito nel 2015, ha visto il coinvolgimento di 13 cantine, del Consorzio Moscato Giallo Colli Euganei e di una Associazione di produttori biologici del Lazio. Maurizio Polo, enologo e titolare di Pololab-Bioenologia, ha descritto alla platea dell’Enoforum i caratteri tecnologici (che impattano sulla fermentazione) e quelli enologici dei lieviti Atecnos; la non produzione di idrogeno solforato, la capacità di degradare o produrre acido malico e ovviamente il profilo aromatico. “Abbiamo isolato – ha osservato Polo – lieviti non convenzionali come S. paradoxus e S. Uvarum. Quest’ultimo, all’anagrafe dei brevetti “Serius”, aumenta notevolmente la produzione di glicerolo e non dà origine a composti solforati“.

Bioenologia 2.0 “addomestica” i lieviti e racconta alla platea dell’Enoforum i risultati della sua ricerca - Ultima modifica: 2017-07-04T21:53:22+02:00 da Redazione

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